Dino Molho

Figlio di Salomone, che si trasferisce nel 1909 a Milano da Salonicco e che gestisce, con la famiglia, l’impresa di minuterie metalliche Molho & C. con sede a Magenta. Dino Molho, morto lo scorso dicembre, è stato un testimone della Memoria ed ha raccontato a giovani e meno giovani le persecuzioni antiebraiche subite da ragazzo. 

Da Salonicco a Milano

Salomone Molho, padre di Dino, nasce il 22 aprile 1888 a Salonicco, all’epoca una delle città più importanti dell’Impero ottomano, con una fortissima presenza di ebrei sefarditi discendenti da quelli espulsi dal Regno di Spagna. In famiglia la lingua d’uso era il giudeo spagnolo o judezmo, la lingua, o le lingue vista la loro varietà, importata dalla penisola iberica e influenzata sia dall’ebraico che dalle lingue parlate nei diversi territori abitati dalle comunità sefardite. 

Il padre Isacco era socio di minoranza dell’importante impresa commerciale di proprietà di Dino Fernandez Diaz, che nel 1943, in fuga dalla Grecia occupata dai nazisti, verrà ucciso all’Hotel Meina nelle prime stragi naziste in Italia. 

Salomone, pur non avendo cittadinanza italiana, aveva studiato alla scuola italiana di Salonicco e nel 1909, alla ricerca di nuovi stimoli e opportunità, lascia l’Impero ottomano e si trasferisce a Milano dove abitavano già alcuni fratelli della madre. Nel capoluogo lombardo si inserisce facilmente nel tessuto economico e sociale, trovando lavoro presso una diramazione della Aeg, tanto da tornare a Salonicco due anni dopo per convincere tutta la famiglia a raggiungere l’Italia. Nel 1911 arrivano quindi a Milano i genitori, Isacco e Ester Nahmias, quest’ultima di nazionalità italiana, e i due fratelli minori Samuele e Davide, scomparso, ancora giovane, nel giugno 1922. 

Nel 1912 Salonicco, a causa delle trasformazioni seguite alle Guerre balcaniche, entra a far parte dello stato greco e quindi i Molho, che hanno lasciato Salonicco da turchi, si trovano ad avere automaticamente la cittadinanza greca con conseguenze che influenzeranno la loro vita anni dopo. In Italia, grazie all’aiuto dei Nahmias, i fratelli di Ester, Isacco Molho rileva un’azienda di minuterie metalliche per mercerie e ferramenta, la Molho & C., di cui dieci anni dopo rimane l’unico proprietario. 

Il 19 dicembre 1926 Salo Molho sposa Iris Bassano, appartenente ad un’antica famiglia ebraica livornese; con il matrimonio Iris, o meglio Anna come la chiamano in famiglia, si trasferisce a Milano dove la famiglia avrà la sua residenza fino al 1943 e acquista con la dote matrimoniale tre appartamenti per investimento in corso Buenos Aires, via Clasio e via Settala. 

Il 18 ottobre 1927 nasce la prima figlia Ester, il 1 ottobre 1929 nasce Dino. La famiglia frequenta la Comunità ebraica, partecipa alle ricorrenze religiose, ma non è particolarmente osservante.
L’attività dell’azienda prosegue con successo nonostante le difficoltà economiche del periodo: entrambi i figli lavorano in azienda, Samuele a Magenta, dove si trova lo stabilimento produttivo, che si occupa dell’aspetto tecnico, mentre Salo lavora dall’ufficio di Milano di viale San Michele del Carso 2 e si occupa dell’aspetto commerciale, dell’amministrazione è, invece, responsabile il padre Isacco.

Leggi antiebraiche e legge di guerra

Nel 1938 le persecuzioni antisemite coinvolgono direttamente la famiglia: dal settembre i due ragazzi Molho devono lasciare la scuola pubblica di via Ruffini, che avevano frequentato fino ad allora, per la scuola ebraica di via Eupili e la famiglia è costretta a rivolgersi alla Prefettura per avere l’autorizzazione a mantenere alle proprie dipendenze le domestiche non ebree. Crescono la vicinanza alla Comunità ebraica e le relazioni al suo interno, mentre i precedenti rapporti con amici non ebrei, legati alla scuola dei figli, vanno a spegnersi uno dopo l’altro più o meno dichiaratamente. Dina e Olga, le figlie di Samuele Molho, che aveva sposato una cattolica, Maria Bicocco, pur essendo state cresciute nell’Ebraismo, vennero battezzate per volere della madre che riuscì a far retrodatare il battesimo. 

Un secondo e drastico cambiamento avviene con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940: i Molho, che hanno conservato, per difficoltà burocratiche e contro la loro volontà, la cittadinanza greca, vengono automaticamente annoverati come appartenenti ad un paese nemico, la Grecia, in guerra contro l’Italia. Secondo la legge di guerra del 1938 e la legge n. 1994 del 1940 i sudditi provenienti dai paesi in guerra contro l’Italia, il cui elenco veniva continuamente aggiornato, sono sottoposti alla legge di guerra e, quindi, al sequestro dei loro beni e delle loro aziende, un provvedimento a seguito del quale la gestione degli stessi veniva affidata, come per i beni ebraici espropriati con le leggi antiebraiche, all’EGELI. Tra i cosiddetti sudditi nemici troviamo prevalentemente cittadini di nazioni come la Francia, la Gran Bretagna e, in seguito, gli Stati Uniti d’America, stranieri residenti in Italia o in possesso in Italia di stabili, ma anche cittadini di origine italiana emigrati all’estero. 

Ai diversi membri della famiglia vengono sequestrate le proprietà immobiliari, tra gli immobili anche quelli acquistati da Anna Bassano con la dote matrimoniale perché le mogli, sulla base del diritto di famiglia italiano dell’epoca, erano obbligate con il matrimonio ad acquisire la cittadinanza del marito. Anche l’azienda di minuterie metalliche viene sequestrata e affidata all’EGELI, nelle confische delle aziende l’EGELI non affidava i beni in gestione al Credito fondiario della Cariplo, come nei casi delle proprietà immobiliari, ma nominava direttamente un sequestratario, in questo caso il ragioniere Francesco Pirola. Pirola supervisionò l’attività dell’azienda che, però di fatto, rimase affidata nella gestione quotidiana ai fratelli Molho, stipendiati come dipendenti.

“Nel ’38 avevo nove anni, entravo in quarta elementare” 

“All’Italia dove abita, dove ha scelto la propria sposa e dove sono nati i suoi figli”

Prima i bombardamenti su Milano e poi la nascita della Repubblica sociale italiana

Dal dicembre 1942 tutta la famiglia lascia Milano per il pericolo dei bombardamenti e si trasferisce a Magenta in un appartamento vicino alla fabbrica, soltanto Salo continua a fare la spola con l’ufficio di Milano finché non è costretto a chiuderlo. Trasferendosi a Magenta i giovani Molho lasciano la scuola ebraica e interrompono gli studi regolari continuando però a studiare con un insegnante privato. La famiglia è molto benvoluta nell’ambiente locale per le numerose attività di solidarietà e beneficenza sostenute negli anni, anche presso la Chiesa cattolica, in particolare da Samuele Molho. Nel fondo EGELI troviamo, per esempio, i documenti relativi alla decisione di Bassano e Bicocco di sospendere il pagamento dell’affitto di un loro appartamento a Magenta ad una donna il cui marito era stato richiamato in guerra. 

All’epoca furono ospiti dei Molho, per qualche tempo, anche alcuni lontani parenti di Salonicco: Leone Molho, la moglie Rachele Saltiel e il figlio Dario. Ritornati a Milano, Leone Molho sarà prima internato nel campo di Bagno a Ripoli in provincia di Firenze e, in seguito, arrestato a Larciano e deportato; la moglie e il figlio saranno invece arrestati a Milano nel 1944 e deportati ad Auschwitz,  tutta la famiglia non è sopravvissuta alla Shoah. 

Dopo l’8 settembre, la nascita della Repubblica sociale italiana e l’occupazione nazista la famiglia è ben conscia del pericolo imminente, sebbene non programmi, come altri, la fuga in Svizzera. Subito dopo il varo dell’ordinanza di Buffarini Guidi del 30 novembre 1943, che prevede per tutti gli ebrei l’arresto e l’immediata deportazione in campi di concentramento, la famiglia di Salo e il fratello Samuele trova una sistemazione sicura a Priloreto in una cascina isolata nella campagna, molto difficile da raggiungere ospiti, paganti, di una grande famiglia contadina, gli Strada. Nel gennaio 1944 cessata la disponibilità ad ospitarli degli Strada i Molho sono costretti ad abbandonare la cascina e ritornare a Magenta dove abitano nascosti sopra la portineria della fabbrica in una sistemazione provvisoria, non sicura. 

A Magenta rimasero per tutta la guerra anche Isacco Molho e Ester Nahmias, residenti nella loro casa e dotati di un certificato di intrasportabilità, che, però, non sempre protesse anziani e anziane ebrei dalla deportazione.

“La vita in questa cascina mi piacque molto. Io ero un ragazzo e tutti i cambiamenti mi piacevano”

“Sembrava una parete di casse”

“Ricordo di aver letto tutto quello che mi capitava sotto mano”

Il rifugio segreto

Magenta non era sicura e alcuni dei più fidati tra i loro collaboratori in azienda, in particolare il portinaio e suo genero, che lavorava come capo manutenzione, prepararono alla famiglia un rifugio all’interno dell’azienda. Si trattava di una stanza di 4×6 metri, costruita chiudendo una piccola parte del salone di un grande magazzino, con un muro occultato da una parete intera di casse di legno fino al soffitto. L’ultima cassa in fondo a destra era mobile e, spostando un telaio, era possibile a quattro zampe entrare nell’abitazione. La stanza era stata fornita di tutto il necessario: un servizio igienico, una cucina economica, un lavandino per la cucina, un letto matrimoniale e due divani nei quali dormivano Salo Molho, la moglie e i figli e, nei momenti di emergenza, anche il fratello Samuele. Era fondamentale la radio, molto importante per l’umore dei prigionieri, attraverso la quale potevano sentire Radio Londra e Radio Mosca. La stanza aveva un sistema di allarme con delle luci che si accendevano per avvisare la famiglia di fare assoluto silenzio in caso di perquisizioni; ogni giorno gli stessi dipendenti fidati, gli unici informati della loro presenza, portavano loro il necessario e portavano via i rifiuti. Di notte i Molho potevano anche contare sul piccolo cortile interno della fabbrica, nascosto da mura e rivolto verso la campagna, dove uscivano a sgranchirsi le gambe, ma solo di notte o quando la fabbrica era vuota. 

Nel buco, così lo chiamavano, i Molho trascorsero quattordici mesi senza mai uscire in una routine strutturata di studio, cura della casa e lettura. Intanto i loro salvatori avevano lasciato diffondersi in città le voci di una loro fuga in Svizzera.

La Liberazione e il dopoguerra

Tre giorni dopo l’insurrezione di Milano, il 28 aprile 1945, alla notizia della fuga delle ultime carovane di soldati tedeschi verso il nord e dell’arrivo della Quinta Armata del generale Clark a Magenta, la famiglia Molho finalmente poté lasciare il rifugio dove ha trascorso l’ultimo anno e mezzo e tornare alla vita libera. 

Fu un momento di grande energia nel quale tutti ritrovarono le fila delle proprie passioni e dei propri interessi. Dino Molho, che aveva dovuto interrompere gli studi per entrare in clandestinità, si rimise a studiare per recuperare rapidamente gli anni scolastici persi, pur iniziando da subito la sua esperienza in azienda; la sorella Ester, che durante la reclusione nel buco si era appassionata di pittura s’iscrisse e poi diplomò al Liceo artistico di Brera.  L’azienda di famiglia Molho & C. venne restituita ai legittimi proprietari e rimase in attività nell’ambito delle minuterie metalliche. 

Isacco Molho morì poco dopo la fine della guerra nell’agosto 1945, nel dicembre 1952 Ester Molho si sposò con Franco Fubini. Salomone e la moglie vissero a Magenta fino al 1956 quando si trasferirono a Milano, morirono insieme in un incidente stradale il 20 settembre 1959. All’età di 30 anni Dino Molho sposò Lydia Levi, di dieci anni più giovane, anche lei di famiglia ebraica livornese come la madre, che aveva trascorso i primi anni di vita in Eritrea per fuggire alle persecuzioni razziali; Dino e Lydia si erano incontrati durante un congresso della Gioventù ebraica a Firenze.

Nel 1998 i nomi di Caterina Vaiani, Antonio Garbini, Angelo Cerioli detto Gin, Maria Vaiani Cerioli, Dina Cerioli e Battista Magna, i sei dipendenti della fabbrica che aiutarono la famiglia Molho a nascondersi, sono stati insigniti del titolo di Giusti fra le Nazioni dello Yad Vashem, a Magenta una lapide ricorda il loro gesto. 

Dino Molho aveva l’abitudine di recarsi ogni sera, alla fine della giornata di lavoro, negli spazi del rifugio segreto prima di andare a casa. A partire dagli anni Novanta ha iniziato a raccontare la storia della sua famiglia e del loro salvataggio, diventando per anni un testimone della Memoria e offrendo a tantissimi giovani la sua esperienza di giovane ebreo perseguitato. Dino Molho è scomparso nel dicembre 2020 all’età di 91 anni. 

L’azienda

La Molho & Co. nasce a Crema nel 1840 e si occupa da subito di produzioni metalliche, in particolar modo prodotti di merceria, come le spille da balia. La famiglia Molho ne divenne proprietaria nel 1912, dopo che prima Salo, nel 1909, poi suo padre  Isacco, nel 1911, lasciarono la città natale, Salonicco, all’epoca teatro di una guerra civile tra la comunità greca e quella turca.

Appena arrivati in Italia i Molho chiesero aiuto per integrarsi nel tessuto economico a Salvatore e Giacobbe Nahmias, fratelli di Ester, nonna paterna di Dino, che si occupavano della commercializzazione dei bachi da seta. Questi avevano come factotum nelle loro imprese un certo Vaiani che era proprietario di varie attività tra cui l’impresa di minuterie metalliche cremasca Vaiani & Rossi che nel 1912 verrà acquistata dai Molho e prenderà  il nome di Molho &C.  

L’azienda aveva la sede della produzione a Crema, sotto la supervisione di Samuele Molho e dell’operaia e poi direttrice Caterina Vaiani, mentre a Milano vi era una sede staccata dalla quale Isacco si occupava della gestione contabile e Salo della gestione commerciale. Per comodità logistica Isacco decise di trasferire lo stabilimento da Crema a Magenta, facilmente raggiungibile da Milano con il treno, il famoso Gamba de legn, e acquistò uno stabile in via Trento dove spostare la produzione. 

Allo scoppio della Prima guerra mondiale l’impresa iniziò a dedicarsi alla produzione di bottoni da collo e da retrocollo, usati per agganciare i colletti alle camicie, che fino ad allora venivano commercializzati nel nostro paese da imprese tedesche, irraggiungibili per la guerra, e di spille di sicurezza utilizzate anche nelle medicazioni dei feriti. L’azienda non ebbe problemi e crebbe fino a diventare nel primo dopoguerra una delle piccole e medie imprese più importanti di Magenta.

Con l’intervallo tra le due guerre mondiali la produzione si spostò verso tutti i prodotti in metallo da cancelleria: punti metallici, graffette, perforatori e pennini arrivando a produrre circa trecento articoli diversi. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale l’azienda venne confiscata a causa della cittadinanza greca dei proprietari e affidata all’EGELI che nominò un sequestratario esterno, il ragioniere Pirola. Di fatto Pirola svolgeva la funzione di supervisore, recandosi in azienda una volta a settimana mentre l’attività, di fatto, rimase nelle mani dei fratelli Molho, nominati dal padre procuratori e della loro referente Caterina Vaiani; Isacco Molho, invece, si ritirò in pensione. Durante il periodo bellico l’azienda attraversò un periodo di forti difficoltà sia a causa della mancanza di materie prime, presenti solo sul mercato nero, che della gestione commissariale ma rimase comunque attiva anche quando i Molho furono costretti a nascondersi.

Al termine del conflitto la Molho & C. riprese la sua attività nell’ambito dei prodotti metallici per merceria e ufficio e venne in seguito diretta dallo stesso Dino Molho fino al 2004 anno in cui si ritirò dall’attività e la produzione fu chiusa.

ViteAttraverso. Storie, documenti, voci di ebrei milanesi nel ‘900.
A cura di Laura Brazzo, Carla Cioglia, Francesco Lisanti.

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