
Mario e Fausto Levi
Mario Davide Levi, classe 1896, veneziano di origine, bersagliere decorato della Prima guerra mondiale, al momento della Liberazione nel 1945 era vicecomandante delle Brigate Matteotti della provincia di Milano. Il fratello maggiore, Fausto, antiquario a Milano, fu arrestato alla fine di ottobre del 1943, incarcerato a San Vittore e deportato ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Non fece più ritorno.


“Milano è insorta”
Milano è insorta, titolava a caratteri cubitali l’Avanti! del 26 aprile 1945.
In quella data che sarà gloriosa nella storia della nostra città” (Avanti! 26 aprile 1945, p.1) il colonnello “Vittorio” si trovava in piazza del Duomo, ai piedi della statua di Vittorio Emanuele, ancora col fucile in braccio. Davanti a lui, Sandro Pertini, Corrado Bonfantini, altri partigiani e la città esultante.
Il colonnello “Vittorio” era in realtà Mario Davide Levi, ebreo, socialista, bersagliere decorato della Prima guerra mondiale, entrato nelle file della Resistenza sin da subito dopo l’armistizio del 1943.
Quel 26 aprile, Mario Levi (come si firmava normalmente) festeggiava la sua ritrovata libertà di italiano e di ebreo. Per essa aveva combattuto con tutte le sue forze, rischiando la vita due volte, come partigiano e come ebreo.
Vicecomandante delle Brigate Matteotti della provincia di Milano, nelle ore dell’insurrezione a Milano, Levi insieme ai suoi uomini, aveva fatto irruzione all’Hotel Regina, il quartier generale delle SS a Milano. Aveva anche occupato la sede strategica dei fascisti di Milano, quella del Gruppo rionale Amatore Sciesa, stabilita dal 1937 a Palazzo Erba Odescalchi, in via Unione 5, nel pieno centro della città.
In quella Milano finalmente libera, Levi si preoccupò immediatamente di coloro che, ebrei come lui, avevano patito la deportazione, i campi di concentramento nazisti, la fame, le percosse, il gelo… ed erano riusciti a sopravvivere. Sperava che fra quei sopravvissuti ci fosse anche Fausto, quel fratello arrestato ad ottobre del 1943 e del quale non aveva più avuto alcuna notizia.
Profughi e reduci ebrei, giungevano a migliaia a Bolzano e da lì a migliaia si riversavano su Milano per poi dirigersi altrove, in Palestina principalmente. Genti di ogni dove, prive di tutto.
Dall’alto della sua posizione di comandante, Levi fece dirottare subito viveri e indumenti già in dotazione ai partigiani, a quei profughi ebrei. Anzi, istituì un vero e proprio “Comitato di soccorso ai profughi israeliti” che fino ai primi di maggio ebbe sede presso il Comando Unificato Settore Naviglio Grande di piazza Carnaro 4 – che era sotto il suo comando.
Anche la Comunità israelitica era tutta da ricostruire. Ma dove? La sinagoga era stata sventrata dai bombardamenti dell’agosto 1943… qualche ufficio era ancora agibile, ma non sufficiente. Levi si mobilitò per trovare una sistemazione: insieme a Raffaele Cantoni, appena nominato Commissario Straordinario per la Comunità, si recò dal prefetto Riccardo Lombardi e chiese l’assegnazione di Palazzo Odescalchi come centro di accoglienza per i profughi ebrei, come sede provvisoria del tempio e anche di alcuni uffici della Comunità. “Via Unione” funzionò fino ai primi di giugno del 1957.

“…mio bel bersagliere! ”
Mario Davide Levi nacque a Venezia il 29 febbraio del 1896 – tre anni dopo Italo, e cinque dopo Fausto, il più anziano dei tre figli di Giacomo Giacobbe (Padova, 1853) e Anna Cesana (Venezia, 1863).
Rimasti presto orfani di padre, nel 1902 i due fratelli più giovani, Italo e Mario, vennero mandati all’orfanotrofio israelitico – il primo a Torino, il secondo a Roma. Fausto invece, più grandicello, rimase a Venezia accanto alla madre – che morirà, giovane, solo qualche anno dopo.
All’orfanotrofio di Roma, sotto lo sguardo materno della direttrice, Palmira Sorani, Mario prese le licenze di studio. E venne educato alla religione ebraica – a tredici anni fece il suo bar-mitzvah nel nuovo tempio di Roma.
Dopo il diploma cominciò subito a lavorare, con un discreto successo, anche economico, per il grande magazzino di tessuti di Lionello Alatri, sempre a Roma.
Nella primavera del 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, sia Italo che Mario si arruolarono come volontari – con gran gioia dello zio Bino, che tutto avrebbe dato per la patria pur di ottenere una vittoria. A Mario mandò un telegramma pieno di entusiasmo per quella sua scelta: Approvo tua decisione volontario fortunato poter servire patria parti con la mia benedizione gridando viva il re viva l’Italia regaloti 20 mio conto […] Dal cielo tua madre ti seguirà in ogni posto servi la patria e sarai due volte italiano […] Tuo zio Bino Cesana”.
Mario fu arruolato nell’8°battaglione bersaglieri ciclisti.
Nell’ottobre del 1915 era sul Carso, nella Trincea delle Frasche – la stessa dove cadde Filippo Corridoni; nel 1916 a Monfalcone, a quota 121; nel 1917 a Monte Santo di Gorizia; nel 1918 a Losson, nei pressi di Venezia.
Sul campo ottenne una medaglia di bronzo al valor militare, il 23 maggio 1917: costante esempio di slancio e ardimento, sotto il violento bombardamento avversario, guidava con perizia e slancio il proprio plotone all’attacco di una forte posizione nemica. L’anno dopo, nel giugno del 1918, sul Piave, a Losson, gli veniva conferita la medaglia d’argento, poichè quale comandante di compagnia dimostrava grande perizia nel comando e grande valore, resistendo col proprio reparto a forti contrattacchi del nemico e a questi infliggendo gravissime perdite. […] Di continuo esempio ai propri dipendenti per le elette virtù militari di cui era dotato e per il raro valore dimostrato in ogni combattimento.
Fausto Levi antiquario
Negli anni in cui Mario e Italo erano in guerra, il fratello maggiore Fausto si sposava a Venezia con Carmen Curiel. Nel 1915, a ventitré anni, era già padre di Mina. Con la famiglia da mantenere, Fausto intraprese la professione di antiquario – come già lo zio, Bino Cesana, e almeno un paio dei suoi cugini.
Cominciò la sua attività fuori della “famiglia”, come procuratore per Ettore Felice Camerino – altrettanto noto antiquario veneziano con una galleria anche a Milano, in via Montenapoleone. Camerino affidò a Fausto gli affari della sua piazza milanese. E così, attorno al 1917, Fausto si trasferì a Milano. Prese casa in via Procaccini.
Per diversi anni gestì gli affari di Camerino con completa dedizione.
Quando sul finire del 1922 quel rapporto si ruppe, Camerino, in una lettera di referenze, lo descrisse onestissimo, buon conoscitore, ottimo amministratore […] il più prezioso dei collaboratori, come un membro della mia famiglia aggiungendo alla fine: lo perdo con vivissimo dolore.
Nel 1922, oltre a lasciare l’impiego presso la galleria Camerino di via Montenapoleone, Fausto divorziò dalla moglie Carmen che, insieme alla figlia, prese la via degli Stati Uniti. Probabilmente non si rividero più.
Qualche anno dopo, nel 1927, mentre il fratello Mario si impiegava a Milano presso la ditta di gomme e plastiche di Emerico Steiner, ritroviamo Fausto con una propria galleria antiquaria in via Sant’Andrea 12. Negli anni ’30, negli “Echi della Cronaca” del Corriere della Sera si potevano leggere qua e là gli annunci delle sue aste – “mobili, lampadari, porcellane, specchiere etc.” Nello stesso periodo ritroviamo Fausto, ormai quarantenne, anche con una nuova compagna al suo fianco, Luigia “Gina” Polli Camponovo, di Gavirate.
Insieme a lei, gite e incontri e ritrovi…
Col 1938 (quasi) tutto andrà in frantumi.

Milano, Parigi… le leggi antiebraiche
Dopo il congedo da ufficiale e alcuni anni trascorsi dalle parti di Udine, Mario Levi si stabilì a Milano, dove già viveva Fausto. Era stato assunto presso un’azienda produttrice di gomme e materie plastiche. Il titolare era quell’ Emerico Steiner di origini mitteleuropee, cognato di Giacomo Matteotti, che nel 1919 aveva rilevato il marchio delle biciclette Atala.
Mario lavorò per Steiner per qualche anno poi avviò un commercio in proprio, sempre nel campo della gomma. Come il fratello Fausto, viaggiava spesso, specialmente a Parigi, dove peraltro si era stabilito il fratello Italo, anch’egli antiquario. Per un certo periodo, anzi, Mario visse proprio a Parigi, dove – racconta – ebbe modo di frequentare i circoli degli esuli antifascisti – quelli delle salette de L’Humanité, gli stessi nei quali si incontrava con Pietro Nenni, a commentare, evidentemente, i fatti dell’Italia fascista.
Così, mentre lo zio Bino Cesana riforniva di marmi d’epoca Gabriele D’annunzio e diventava Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia, Mario abbracciava con sempre maggiore forza e convinzione l’ideale socialista e antifascista.
Nel 1938, il censimento razziale e le leggi antiebraiche irruppero anche nella vita di Fausto e Mario Levi.
Quando il 2 agosto 1938 gli venne recapitato il foglio per il censimento della razza, Fausto Levi si trovava a Gavirate, dove viveva la compagna, Gina Polli Camponovo. Nel compilare il foglio dichiarò di essere un impiegato in un negozio di articoli vari e di essere iscritto alle liste dell’anagrafe di Milano dal 1936. Non era iscritto invece alla Comunità israelitica di Milano, come non era iscritto al Partito nazionale fascista.
Il fratello Mario si dichiarò invece industriale, comproprietario di una azienda di materie prime e gomma. Compilò il foglio mentre si trovava a Trieste, città nella quale risultava ufficialmente residente fino al maggio del 1938 (ovvero alla data del divorzio ufficiale dalla prima moglie, Angela Luisetti). Dal foglio si evince inoltre che Mario Levi era ufficialmente iscritto alla Comunità israelitica di Milano ed era stato iscritto al Partito nazionale Fascista solo nel 1921.
A differenza di Fausto, Mario poté vantare anche “Benemerenze di guerra o di altro genere”: Volontario di guerra capitano dei bersaglieri […] decorato di medaglia d’argento e di medaglia di bronzo al valor militare. Un encomio.
Sia Fausto che Mario, all’indomani delle leggi del 17 novembre 1938, fecero richiesta di discriminazione.
Per Fausto il rifiuto della discriminazione fu questione che si risolse piuttosto rapidamente, per Mario, la procedura andò invece per le lunghe, fino al 1940. Nel giugno del 1939 il prefetto di Milano G. Marzano scriveva al Ministero:
Levi Davide Mario […] Fu volontario della guerra mondiale ed è decorato di una medaglia d’argento e di un bronzo al valor militare. […] Egli però non ha a suo favore altre benemerenze e non ha mai dato dimostrazione alcuna di attaccamento al regime. Ritengo pertanto che non sia da accogliere la sua domanda di discriminazione. (cfr. Questura di Milano, 21 giugno 1939, Archivio di Stato di Milano, Fondo Questura). Il Ministero rispose a febbraio del 1940:
Avvertire e comunicare se la mancata iscrizione di Levi Davide Mario fu Giacobbe al Partito sia da ritenere dovuta a sentimenti ostili al Regime o a indifferenza, tenendo presente che avendo il suddetto tre titoli per la discriminazione, occorrono a questo Ministero elementi concreti per un eventuale rigetto della domanda (cfr. Ministero dell’interno – div. Razza, 12 febbraio 1940, Archivio di Stato di Milano, Fondo Questura).
Alla fine, la richiesta di discriminazione venne accolta.
Nel frattempo, nell’ottobre del 1938 Massimina Pagon aveva dato a Mario il suo primo figlio, Luciano Franco. Per sicurezza, lo fecero registrare all’anagrafe come Luciano Franco Pagon. Poi, fra il 1940 e il 1943 Mario e “Mina” ebbero altri tre figli – Italo Fausto nel 1940, Nerina Anna nel 1941 e Lia Vanda nel 1943. Il quinto, Davide Giacomo, nascerà a febbraio del 1945, nel periodo forse più difficile e pericoloso per Mario, ma anche quello ormai più prossimo alla libertà.

“…Qui si parla di prossima partenza per un campo nel Veneto, o partenza per sempre, ormai sono rassegnato”

“Carissima, ecco l’ordine di partire! Io non ho ricevuto gli indumenti richiesti, parto nudo.”
Anni di guerra, di fughe, di addii…
Già dall’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, Mario Levi aveva fatto trasferire la famiglia – la compagna Mina, Luciano di due anni e Italo, da poco nato – nella casa di Garda che si era fatto costruire già da qualche anno.
Dopo l’armistizio del settembre 1943, anche quella zona divenne pericolosa specie per una famiglia ebraica. E così, con la terza figlia nata a febbraio, Mario decise di trasferire nuovamente la famiglia, questa volta dalla parti di Udine, in quella Val Natisone vicino al confine sloveno che conosceva bene dai tempi della “grande guerra”.
Mentre Mario era in Val Natisone, alla fine di ottobre del 1943 Fausto venne preso dai fascisti. Fu consegnato ai tedeschi e portato in carcere a San Vittore. Da lì partì il 6 dicembre 1943. Era il primo convoglio che partiva da Milano diretto ad Auschwitz. Di lui non si seppe più nulla.
Nei giorni del carcere Fausto riuscì a scrivere alla compagna Gina, dandole istruzioni su ciò che gli occorreva, sugli affari ancora aperti, sui clienti creditori. La paura di non rivedersi più si percepiva in ogni singola parola.
La notizia dell’arresto di Fausto e di altri parenti – a Roma, a Genova – giunse a Mario per vie traverse. Fu proprio in quei mesi della fine del 1943, appesantiti dalle incursioni tedesche sul confine sloveno, che si convinse che era ora di agire.
Avevo preso contatto con i partigiani delle brigate garibaldine e con i partigiani jugoslavi del 9° Corpus. […] volevo controllare le mosse e le idee del 9°Corpus nei riguardi dell’Italia […].
In quel periodo Mario Levi riusciva a muoversi fra la Val Natisone e Milano grazie a documenti falsi dai quali risultava chiamarsi Vittorio Lupo, nato a Foggia.
Durante uno di questi trasferimenti a Milano, nel 1944, ebbe modo di ritrovarsi a casa di Sandro Faini, insieme ad altri compagni socialisti, compreso l’amico Corrado Bonfantini. Questi lo convinse subito a tornare a Milano per organizzare le formazioni partigiane.
Così corsi a prendere moglie e figli e li portai a Milano nell’abitazione di un mio amico dott. Raffaele Foà – israelita – rifugiato in Svizzera.
Mario Levi fu posto al comando della 9a Divisione delle Brigate Matteotti operante nella zona del Ticinese, nella fascia al confine con i comuni di Magenta e Binasco.
Quando nel marzo del 1945 venne costituito il Comando unico per le brigate operanti nel territorio, inquadrato come 3° settore Naviglio Grande, Mario Levi assunse il comando unico delle formazioni Matteotti. Organizzai subito varie squadre a compartimenti stagni. […] Ci trovammo radunati alcune volte in una soffitta di una via di porta Monforte con il comando generale di tutte le brigate […] feci costruire chiodi in lamiera triangolare e al passaggio quasi sempre notturno di colonne militari li seminavamo sulle strade e autostrade […] avevamo amici e compagni sicuri nella Pirelli, nella Breda, nell’Azienda Telefoni e con questi ultimi intercettavamo ordini e comunicazioni dei fascisti…

“Ai miei fratelli, nipotini tutte le mie affettuosità, a tua mamma e a te, mia adorata, saranno i miei ultimi momenti. Baci, tuo Fausto”

Mario, il dopoguerra, la memoria
Fratello Fausto portato Polonia manco notizie dal 1943 stop. Salvatomi con 5 figli vivo Milano piazza Carnaro 7. Baci telegrafa. Levi Mario.
In poco più di cento caratteri Mario Levi concentrava tutto quel che gli era accaduto negli ultimi due anni e mezzo. Era il telegramma con cui alla metà di agosto del 1945 ristabiliva un contatto con il fratello Italo, in Marocco.
Gli anni del primissimo dopoguerra – quello della smobilitazione e dei primi tentativi di tornare alla normalità, furono segnati per Mario dall’incertezza sul destino del fratello Fausto. Si era salvato e ancora non era riuscito a far ritorno? Era riuscito forse a scappare dal treno e a nascondersi da qualche parte?
Mario fece stampare dei volantini:
Chi avesse notizia in Germania o Polonia di:
FAUSTO LEVI
deportato ad Auschwitz, è pregato di darne notizia al fratello Levi Mario.
7- Piazza Carnaro tel. 62365.
A marzo del 1946 Mario scrisse al Comune di Chiusaforte – località da cui era transitato il convoglio su cui era Fausto. Ricevette una laconica risposta:
Comunichiamo che mai si è avuto sentore che un certo Levi sia sceso a Chiusaforte in data 8 dicembre 1943 […].
Alla fine dell’anno riuscì a mettersi in contatto con un reduce di Auschwitz, Lazzaro Levi, deportato da Trieste il 7 dicembre. Ma la risposta fu di nuovo negativa:
non sono in grado di darvi alcuna informazione riguardo suo fratello […].
Finita la guerra, Mario riprese la propria attività di commerciante in materie plastiche, che continuò fino al 1980 – come lui stesso scrisse molto più tardi a Marcello Cantoni.
Rimase convintamente socialista, fino all’ultimo. Negli anni 70, Libero Cavalli, ex partigiano socialista come lui, gli chiese una memoria da pubblicare in un volume dedicato alle Brigate Matteotti. E più tardi ancora, Marcello Cantoni, per uno strano scherzo della memoria, si trovò a ripercorrere dalle pagine del Bollettino della Comunità, i passi, ormai dimenticati dai più, del “Colonnello Vittorio”.
In ultimo, al figlio Italo Fausto, Mario lasciò il compito di non dimenticare e anzi di continuare a cercare notizie su quello zio Fausto che forse, ancora bimbo, aveva solo intravisto.
Mario Levi è morto a Venezia alla casa di riposo israelitica nel febbraio del 1990.
Nel 2019, Italo Fausto Levi ha fatto porre in via Bigli, a Milano, una pietra d’inciampo in memoria di Fausto Levi.