Guido Lopez

Figlio del commediografo Sabatino Lopez, Guido è stato giornalista e scrittore a sua volta. Profondo conoscitore della storia di Milano, nel 1965 ha pubblicato “Milano in mano”, guida alla città di cui sono uscite ben diciotto edizioni.
Ha raccontato l’esperienza degli anni della persecuzione e del periodo dell’esilio in Svizzera nel romanzo “Il Campo” (1948), premio Bagutta per la migliore opera prima.  

“la meraviglia di questa liberazione…”

Losanna 26 aprile 1945
Mi inchino. E dunque oggi, il 26 aprile 1945, Milano, Genova, Torino, sono libere. Ne ho ascoltata la notizia alla radio, tranquillamente, come se si trattasse della presa di Jutinjama. Stupefatto talmente dalla realtà inattesa da non rendermene conto. E adesso a poco a poco, mi sento crescere una gioia e una angoscia, per la terza volta dopo il 25 luglio e dopo l’8 settembre 1943. Dico una gioia e un’angoscia perché un’emozione così forte non ha un verso ma soltanto un’intensità. Dico una gioia e un’angoscia perché nel momento della felicità più grande ti appaiono gigantesche le figure di quelli che sono scomparsi e che non sono con te ad abbracciarti, e di tutte le cose distrutte. Ma poi dico una gioia soltanto per la meraviglia di questa liberazione quasi incruenta e miracolosa, dove tutto quanto abbiamo temuto veder crollare come nelle rovine di Stalingrado, è rimasto in piedi, a nostra meraviglia.

Da Losanna dove era approdato nel marzo del 1945 dopo aver trascorso 15 mesi nei campi di lavoro svizzeri, Guido Lopez, via via che passavano i giorni, aveva avvertito non più tanto la guerra coi suoi lutti, o l’esilio con i suoi fantasmi, ma l’incalzare della pace che ai nostri vent’anni portava una formicolante ebbrezza, come un amore folle e peccaminoso, quando ti avvolge e strappa.
Era stato proprio in quel clima di ebbrezza che Guido Lopez, Emanuele Luzzatti, Livio Zeller e altri rifugiati italiani, avevano messo in scena “Salomone e la Regina di Saba” – al primo piano della Stazione Centrale di Losanna, nella sala di un caffè attrezzata per l’occasione con palco e sipario. Vorrei sottolineare la data di quella recita: 16 aprile 1945. Vibrava per l’aria un’attesa liberatrice, la sensazione che il crollo dell’Asse fosse finalmente dietro l’angolo. Si trattò infatti di soli nove giorni.

Citazioni da G. Lopez, Finché c’è carta e inchiostri c’è speranza, a cura di F. Lopez, Milano, Mursia, 2019 

“…una gioia soltanto per la meraviglia di questa liberazione quasi incruenta e miracolosa”

Sabatino e Sisa e Roberto e Guido

I coniugi Sabatino e Sisa Lopez, originari entrambi di Livorno, vivevano a Milano dal 1911 –  prima nei pressi di piazza Cinque Giornate e poi dal 1926 in Largo Rio de Janeiro.
A Milano i Lopez arrivarono da Genova dopo essere passati per Bologna, Cuneo, Napoli, Sassari e Catania.  Insegnante di professione, autore teatrale oltre che critico,  Sabatino Lopez nel 1911 venne chiamato a Milano a dirigere la Società degli Autori, al posto di Marco Praga. A quell’epoca il primogenito Roberto aveva circa un anno. Sabatino, all’età di quarantaquattro anni, era già un affermato autore di teatro. Il suo maggiore successo era stato La buona figliola, rappresentato per la prima volta nel 1909. Sul Corriere della Sera si diede notizia della prima al Teatro Argentina di Roma e delle numerose repliche a Milano, Torino e anche in Sud America. Si informava anche del numero di chiamate in scena che ogni volta autore a attori ricevevano dal pubblico. A Torino, 15 chiamate, un successo! Al Manzoni di Milano, il successo fu pieno e calorosissimo […] e gli applausi scrosciarono generali ed insistenti […] e l’autore, presente alla rappresentazione, ebbe un grande numero di chiamate al proscenio (Corriere della Sera, 15 aprile 1909, p. 6). Per festeggiare, qualche giorno dopo amici, colleghi, ammiratori organizzarono un banchetto nelle sale del Cova (Corriere della Sera, 20 aprile 1909, p. 5).
Nel 1915 l’Accademia di Belle Arti di Brera assegnò a Sabatino Lopez la cattedra di Letteratura italiano; in quello stesso anno al teatro Olimpia di Milano venne rappresentata Mario e Maria, con Emma Gramatica e Ugo Piperno. La gente, si leggeva nelle cronache, ancora del Corriere della Sera, era così tanta che doveva essere respinta.
In quegli anni di guerra, Sabatino si avvicinò ed entrò a far parte del Gruppo sionistico Milanese del quale divenne poi presidente. Sisa invece prestava la sua opera come rieducatrice dei soldati colpiti da afasia e lavorava anche alle Poste di Milano, all’ufficio smistamento.
Nel 1921 la Società Umanitaria affidò a Sabatino Lopez la direzione della sezione di prosa del Teatro del Popolo e il 2 gennaio 1924, alle 6.45 di mattina, alla Clinica Regina Elena di Milano Sisa metteva al mondo il secondogenito, Guido. Quel giorno, a Milano, scriveva Sabatino al fratello Corrado, nevicava.

Citazioni da G. Lopez, Finché c’è carta e inchiostri c’è speranza, a cura di F. Lopez, Milano, Mursia, 2019 

1938: espulsi

Le leggi antiebraiche del 1938 colpirono i Lopez come il resto della popolazione ebraica in Italia all’epoca. Guido, quattordicenne, non potè iscriversi alla quinta ginnasio del Liceo Parini; il fratello Roberto, escluso dal concorso all’Università di Genova,  prese subito la via dell’esilio, a Londra e poi negli Stati Uniti. Quanto a Sabatino, “il più italiano degli scrittori italiani”,  in una lettera all’amico Ermete Zacconi, il 12 ottobre 1938, riassumeva con amara levità la situazione: Poichè mi domandi, ti dico che io non so se giornali e riviste pubblicheranno i miei articoli e non so se commedie mie, vecchie e nuove, saranno più permesse in Italia; dei miei figlioli, Roberto è assolutamente fuori perchè già decisa e irrevocabile l’esclusione degli ebrei dall’insegnamento: era professore a Genova al R. Istituto Magistrale, incaricato di storia economica all’Università e concorreva ora per una cattedra universitaria di Storia medievale; gli hanno rimandato i documenti da Roma. Il piccolo, Guido, entrerebbe in quinta ginnasio. Apprezza il condizionale, e vai oltre. Aggiungi a tutto il disagio, lo scherno, la diffamazione generica per i giornali, e somma. Anzi, non sommare e parliamo d’altro.
E così, ricorda Guido, “via dalla cattedra mio fratello, via dai palcoscenici e dai giornali mio padre, fuori io stesso dal ginnasio Parini. C’era la mera scappatoia della discriminazione per meriti fascisti, o generici. E nel caso di Lopez, i generici sarebbero stati più che sufficienti. Ma mio padre guardò negli occhi di mia madre , si consultarono senza parlare, disse: ‘Quali e di chi sarebbero i crimini?’ e stracciò la domanda.
Mio fratello fece le valige grandi, verso l’America; non lo rivedemmo per più di sei anni. Io intanto frequentavo la scuola: il liceo ebraico formato in gran fretta in quell’estate del ‘38 e gran parte delle sere le passavo al Gruppo Sionistico.
Alla scuola ebraica di via Eupili, insieme a Guido, altri giovani colpiti dalla medesima sorte; e insegnanti, di ogni materia, esclusi come i loro allievi  dal resto del mondo italiano: Marta Bernstain Navarra, Alda Crema Perugia, Eugenio Levi, Vittore Veneziani… ma molti altri ancora.
Alla scuola di via Eupili, Guido conseguì il diploma liceale. Era l’estate del 1942.

Citazioni da G. Lopez, Finché c’è carta e inchiostri c’è speranza, a cura di F. Lopez, Milano, Mursia, 2019 

“Salti e capriole e gran voglia di piangere”

All’estate del diploma e del primo lavoro (semiclandestino) in Sonzogno,  seguì l’autunno dei bombardamenti su Milano e della decisione di sfollare ad Arona.
Un sabato pomeriggio (sabato “fascista”: tutti a casa), saran state le sei, le sirene d’allarme presero a ululare.Mamma era fuori per commissioni, papà disse ‘Socchiudi le finestre, mettiti il paltò, chiudi le persiane’, a me pareva ridicolo scendere in cantina, uffa, cosa vuoi che facciano a quest’ora del giorno? […] La prima bomba cadde in Piazzale Bacone, cinquecento metri in linea d’aria. La balaustra di casa nostra sussultò, tremarono i gradini, di giù dissero: “Fate presto gesummaria!” […] Contammo le bombe grosse una per una, ogni volta un gran rombo, chissà dove era andata a colpire […] chissà mia madre dove si era rifugiata, pareva che quei dannati lassù avessero gran fretta di sgravarsi, tramortire la città e poi via. Seguì un lungo silenzio, teso, poi una nuova gragnuola di colpi e scricchioliì, crepitii […] Finalmente sentimmo il lugubre ululo del cessato allarme, dissi a mio padre ‘Torna su, io vado incontro alla mamma’. Scappai fuori, piastrine di fosforo luccicavano sul marciapiede, un vago bagliore illuminava il cielo, dai tetti verso piazza Carlo Erba saliva un fumo nero
A fine novembre, liquidato definitivamente Guido dalla Sonzogno (venne un ordine dall’alto: licenziare l’ebreo), la città già ridotta a un fantasma, anche  i Lopez decisero di fare i bagagli e sfollare. Su indicazione di amici, presero due stanze all’Albergo Italia ad Arona. Ci eravamo portati una piccola scelta dei nostri mobili e suppellettili, compreso il busto in bronzo di Eleonora Duse…
Ad Arona i primi tempi furono come di straniamento, specie per Guido. L’inadeguatezza dell’età, un vuoto di esperienze cui far riferimento, un senso del provvisorio e del fatale. E il sopore stesso dei luoghi, quella falsa pace circondata di mostri. Stavo seduto sui miei problemi di adolescente, intento a dipanarli, complicati com’erano dalla mia estraneità, privo com’ero dei diritti civili, bandito dall’università, dal lavoro, dall’habeas corpus.
Il caso volle che ad Arona sfollasse anche il quartier generale della Mondadori. E così agli inizi del 1943, sulle rive del lago Maggiore, Guido Lopez fece il suo ingresso all’ufficio stampa della Mondadori. Durò poco. A giugno infatti fu precettato al lavoro sui binari delle stazioni Varesine a Milano. Poi, il 25 luglio, l’annuncio alla radio, di sera tardi: “il cavalier Benito Mussolini…”.
E allora,  salti, capriole e gran voglia di piangere, ma senza troppo far rumore, non si sa mai, e se domani torna tutto come prima?
Per un paio di settimane o tre, gente che si agitava, statue di Mussolini fatte a pezzi, soldati che scaricavano in fiume le divise, uomini oscuri diventati importanti, tipi importanti che si facevano piccini…
In realtà era stato un grande equivoco, qualcuno diceva “Andrà a finire peggio di prima”.

Citazioni da G. Lopez, Finché c’è carta e inchiostri c’è speranza, a cura di F. Lopez, Milano, Mursia, 2019 

“L’altra Svizzera”

Alla metà di settembre, a pochi giorni dall’annuncio dell’armistizio, le rive del Lago Maggiore furono teatro di una delle prime e più terribili stragi compiute in Italia dai nazisti contro gli ebrei.
Guido in quei giorni si trovava a Premeno presso i Calvi,  una coppia di amici di famiglia; Sabatino e Sisa erano alloggiati ad Arona. Sfuggirono all’arresto e all’uccisione solo perché qualcuno li avvisò per tempo della retata nazista. Si salvarono andandosi a sedere su una panchina del lungolago e facendo finta di  leggere il giornale. Videro i camion nazisti passargli davanti. 
Il 19 settembre Guido decise di tentare la via della Svizzera; fra una peripezia e l’altra impiegò venti giorni ad attraversare il confine. Fu allora che cominciò a scrivere il suo diario su “l’altra Svizzera”. 
I genitori decisero invece di restare: Sabatino aveva settantasei anni – troppo anziano per una simile avventura. Quanto a Sisa, sarebbe stato impensabile per lei separarsi dal marito. Rientrarono a Milano. Nei mesi che seguirono, solo per l’opera persuasiva di un ex allievo di Sabatino, il pittore Gianfilippo Usellini, si convinsero di dover tentare anch’essi la fuga in Svizzera. Così, l’11 dicembre 1943, con i documenti falsi procurati da Usellini, i coniugi Lopez partirono: Milano – Arona in treno, poi Fondotoce, Intra, Canobbio, Cinzago. E poi la vera partenza, in piena notte, a piedi e con le valigie in spalla, insieme a due guide. Passarono il confine il 13 dicembre dopo un cammino di svariate ore, in mezzo alla boscaglia, per vie ancora non battute e ghiacchiate.
Sabatino e Sisa alla fine, dopo non poche tribolazioni e anche qualche giorno di separazione, si ritrovarono al ricovero Immacolata di Roveredo nei Grigioni. Lì si ritroveranno, fra gli altri,  con il maestro Vittore Veneziani e il poeta Diego Valeri.
Guido invece, da che era stato accettato in Svizzera, cambiò quattro campi di lavoro: prima Ringlikon, poi Munchwilen, poi Zweidlen, poi Cossonay e poi finalmente Losanna, finalmente  libero. Era il gennaio 1945. Riuscì a riabbracciare i genitori a Roveredo solo nel maggio del 1945. E a Roveredo, insieme, attesero di poter rientrare a Milano, il 21 luglio 1945.

“C’è il fuoco. Ci danno la minestra e ci fanno sperare di poter rimanere in Svizzera. Aspettiamo…”

“Comprensione: quello che noi esuli abbiamo sempre invocato  Concordia: l’insegnamento più alto della Svizzera”

“…uno scrittore rientrato”

L’appartamento di Largo Rio De Janeiro 5 che per due anni era diventato la sede del Comitato Rionale Gruppo Tonoli dell’Opera Balilla, alla fine di luglio del 1945 tornò ad essere “Casa Lopez”: rientrarono i libri, i ritratti di attori e attrici dei bei tempi andati, il busto della Duse e anche il maggiolino. La poltrona “di Toscanini” – sulla quale nell’autunno del 1938 il Maestro si era accomodato per un paio d’ore “in visita spontanea di solidarietà a seguito delle leggi razziali” – invece non si era mai mossa da lì.
Il 2 agosto 1945, per festeggiare il ritorno a Milano di Sabatino Lopez, al teatro Odeon andò in scena “La signora Rosa.”
Il pubblico che gremiva la sala ha festeggiato con crescente calore la commedia e avrebbe voluto festeggiarne anche l’autore che però non si presentò. In vece sua c’era la sua bella, chiara, schietta arte di commediografo prettamente italiano, di conoscitore del cuore e dei sentimenti (Corriere d’informazione, 3 agosto 1945, p. 2).
La Comunità ebraica (“Israelitica”) di Milano, dalle colonne del suo Bollettino, salutò il ritorno di un amico, un Maestro, un simbolo che ci è tanto caro (Bollettino, agosto 1945, pp. 2-3).
Guido “rientrato” fu subito impegnato a scrivere per il Bollettino, subito eletto nel consiglio del Gruppo sionistico milanese e subito re-inserito nella macchina velocissima della Mondadori – ancora all’ufficio stampa, come ai tempi di Arona. Scrivevo ‘pezzulli’ e recensioni, leggevo libri in bozza e in dattiloscritto, discutevo i programmi con Alberto Mondadori, con Sinisgalli, con Remo Cantoni, con Dabini, facevo gli onori di casa ai vecchi e ai nuovi autori, correvo su e giù per le scale dalla Saffo e da Pocar,  […] mi spostavo da una all’altra delle redazioni dei giornali a presentare le ‘segnature’ di un’opera nuova da recensire al più presto.
E poi i salotti, le serate al cinema, a teatro, ai dibattiti.
Fu una specie di gran febbrone quello che ci invase al termine della guerra – un febbrone benefico. Si lavorava come forsennati ma si trovava il tempo per tante mai altre cose.
Sabatino Lopez, che teatrò tutta la vita,  scomparve nel dicembre del 1951, dopo aver pubblicato l’ultimo suo libro, S’io rinascessi (1949).
Sisa si dedicò alle attività per l’ADEI; per qualche anno ne diresse anche la rivista. Negli anni ’70 si decise anche a pubblicare sulle pagine della rivista Shalom di Roma, il suo diario dei giorni della fuga in Svizzera.  Sisa se ne andò nel 1975, lasciando il figlio Roberto ormai affermato medievista ed accademico negli Stati Uniti e il secondo figlio, Guido – già marito di Gigliola e padre a sua volta di Irene e Fabio – giornalista, scrittore  riconosciuto, uomo di pubbliche relazioni, con tutto il suo bagaglio di esperienze, di incontri fatali, di entusiasmi, e anche di delusioni. Quella per Mondadori innanzitutto. Il rapporto nato in piena guerra sulle rive del Lago Maggiore, ad un certo punto si ruppe. Era il 1957.
Chiusa quell’esperienza, l’eclettismo di Guido Lopez si espresse allora  nella pubblicità (Motta, J. Walth e Thompson), nel giornalismo (il Corriere, il Giorno, e più tardi La Repubblica e la RAI), nella  ricerca storica – Milano, la sua storia e i suoi protagonisti, uno su tutti Ludovico il Moro. E poi c’era comunque sempre il tempo e l’impegno attivo per l’ebraismo: la Comunità di Milano, l’Unione delle Comunità ebraiche Italiane, la Federazione Sionista; anche il CDEC.
Nel 1983 a Guido Lopez, Primo Levi inviò un biglietto. Gli proponeva uno “slogan”: essere ebrei è difficile, pericoloso, ma stimolante.
Guido Lopez aveva vissuto appieno la “difficoltà”, anche la “pericolosità”, dell’essere ebrei, ma da esse – forse, proprio da esse – aveva tratto lo stimolo, la “millenaria ispirazione”
per non rinunciarvi mai.
Guido Lopez è morto a Milano il 3 dicembre 2010.

Citazioni da G. Lopez, Finché c’è carta e inchiostri c’è speranza, a cura di F. Lopez, Milano, Mursia, 2019

ViteAttraverso. Storie, documenti, voci di ebrei milanesi nel ‘900.
A cura di Laura Brazzo, Carla Cioglia, Francesco Lisanti.

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